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Quante volte viene detto di un atleta ”Potrebbe fare grandi risultati, ma è troppo emotivo”.
Che cosa significa?
Che per raggiungere grandi risultati occorre eliminare le emozioni?

 

In realtà, il sistema emozionale è estremamente importante per la sopravvivenza e lo sviluppo degli individui, dal momento che fornisce informazioni immediate (cioè non mediate razionalmente) e puntuali (in tempo reale) su cosa sta accadendo fuori e dentro di noi.

Si tratta di un sistema arcaico, legato alle porzioni più antiche del cervello umano-il sistema libico, ovvero l’insieme di strutture che si trovano sulla faccia mediale di ciascun emisfero celebrare-che ha primariamente lo scopo di salvaguardare la nostra esperienza spingendoci a intervenire in modo rapido e finalizzato.

Esiste cioè nell’uomo un sistema che genera sensazioni interne così potenti di rabbia, di paura, di disgusto, di felicità, di tristezza, tali che non possano essere facilmente ignorate (Galati, 1993).

Se si pensa alla paura, emozione bistrattata e spesso rinnegata, è immediato comprenderne la funzione: la paura informa di un imminente pericolo al quale è opportuno rispondere con comportamenti di attacco o fuga.

Parimenti, la tristezza informa sul fatto che sta capitando qualcosa intorno a noi di sgradevole e questo ha un impatto significativo sul nostro benessere. Rispetto alla felicità, poi, appare scontato quanto questa influenzi le nostre scelte in tema di relazioni personali o di attività ricreative.

Come mai allora le emozioni sono nemiche della prestazione? In realtà questo assunto non è corretto, dal momento che le emozioni possono interferire sulla prestazione se sono troppo intense e non sono pertanto gestibili.

 

L’intensità dell’emozione dipende, oltre che dall’evento, anche dalla prontezza di riconoscimento: se si pensa alle emozioni come a dei ” messaggeri ” che informano su come ci si trova in quella determinata situazione, appare evidenti che questi messaggeri saranno tanto più portati a ”urlare”, quanto meno li si sta a sentire. Il fatto che le emozioni si attivino non dipende da noi: questo sistema è assai più potente di quello razionale, che infatti nel confronto soccombe.

 

Si prenda ad esempio la partenza di una corsa ciclistica: ogni atleta sarà, nei minuti precedenti, attivato a livello psicofisico (battito cardiaco e frequenza respiratoria accelerati, aumentata sudorazione, aumentata pressione arteriosa, pensieri rapidi su percorso e tattiche ecc.), poichè il sistema mente-corpo si sta preparando al meglio per affrontare una richiesta importante di impegno e sforzo fisico (aurosal ottimale;) ma alcuni potrebbero essere molto agitati, con caratteristiche di attivazione estremamente accentuate, che potrebbero non normalizzarsi per buona parte dello svolgimento della gara, con conseguenze facilmente prevedibili sulla prestazione.

 

In questi casi è frequente l’entrata in funzione del normale sistema di allarme, ma in maniera spropositata rispetto alla situazione, per cui può proporsi una paura molto intensa e interferente. Spesso questa paura non viene riconosciuta e gli atleti si spiegano la situazione con un semplice ” patisco la gara” che tuttavia non lascia spazio a soluzioni.

 

Riconoscere invece questa paura, comprenderne le motivazioni, concedersi, senza giudicarsi, di provare una simile emozione in quel contesto, ha invece l’effetto di mitigare molto l’attivazione psicofisica, perchè limita la necessità del ”messaggero” di continuare a ribadire il proprio appello.

 

Tale approccio, associato all’apprendimento di una tecnica di rilassamento per modulare l’attivazione psicofisica eccessiva, permette all’atleta di vivere l’esperienza sportiva in modo totale, includendo anche quella sfera emotiva che spesso, nel tentativo di negare, si rende poco sincrona con la prestazione.

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