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LA PREPARAZIONE POSTURALE NEL NUOTO

Negli ultimi anni la preparazione fisica a secco del nuotatore ha avuto considerevoli sviluppi, portando a un notevole aumento della sua con-siderazione e della sua importanza.

 

A partire dagli anni 90 (Lederman, 2010), la preparazione fisica ha acquisito sempre più importanza e il preparatore atletico ha cominciato ad interessarsi non solo al recupero dell’atleta infortunato, ma anche alla prevenzione degli infortuni, soprattutto a carico delle articolazioni più sollecitate (rachide lombare, articolazione della spalla e della caviglia).

 

Il preparatore atletico ha introdotto prima gli esercizi di prevenzione, per esempio alla cuffia dei rotatori, in seguito la core stability come prevenzione all’infortunio sia per la zona lombare (Key, 2013) sia per i mm. ischiocrurali coinvolti nel trauma da carico iterativo.

 

Il movimento della nuotata (bracciata o gambata), durante l’allenamento quotidiano o durante una gara, dovrebbe essere sempre efficiente, propulsivo e funzionale alla tecnica, mantenendo ampiezza (o angoli di lavoro) e frequenze del movimento adeguate alla distanza di gara. Affinché questo possa avvenire, l’atleta dovrebbe essere “sciolto” e “forte” allo stesso tempo.

 

Se l’atleta ogni volta che esegue una bracciata o una gambata ha difficoltà a eseguirla a causa di una scarsa mobilità articolare passiva di tutto il corpo, la forza applicata per la propulsione è prima dispersa per vincere queste rigidità e in seguito la forza è finalmente applicata per la propulsione.

 

 

Questo fenomeno si vede spesso negli adulti che cercano di imparare a nuotare con grandi difficoltà.

 

Lo scarso successo potrebbe derivare, per esempio, da difficoltà nel movimento della gambata a causa di caviglie veramente rigide in estensione plantare, che può causare, dopo poche gambate, crampi nella volta plantare; oppure da una spalla che ha una mobilità attiva ridotta e di conseguenza rimane sott’acqua durante la fase di recupero della bracciata a stile libero e per ovviare a questo il nuotatore potrebbe eccedere nel rollio.

 

 

In queste condizioni si creano dei movimenti compensatori, soprattutto a carico del tronco (Connors et al, 2010), non necessari all’avanzamento, ma piuttosto a eseguire il movimento. Come rilevato da Willems et al (2014) un ridotto range of motion (ROM) della caviglia (causato sperimentalmente) comporta un cambiamento del movimento della gambata a delfino.

 

Infatti, nello studio citato, il nuotatore concentrava il movimento principalmente sul ginocchio, che risultava avere un angolo di flessione maggiore rispetto a quando la caviglia era libera da vincoli esterni.

 

Quindi, la mobilità articolare della caviglia può modificare l’esecuzione della gambata a delfino.

 

Ad esempio il movimento della leg extentionprona può perfezionare il lavoro dei mu-scoli lombari e non, come sembrerebbe ovvio, per i flessori dell’anca.

 

Questo ragionamento appare corretto, ma è possibile che, in assenza della contrazione dei muscoli addominali che adatta la posizione del bacino, i muscoli della zona dorsale e lombare dovranno sopportare un carico maggiore innalzando il rischio di infortuni sugli stessi.

 

Infatti, gli Autori hanno rilevato un’attivazione EMG maggiore a carico dei muscoli erettori spinali e glutei se il soggetto eseguiva il test in modo auto-matico.

Quindi gli Autori suggerirono che il movimento di estensione dell’anca senza attivare prima gli addominali e i glutei aumenta i rischi di infortunio agli hamstring aumentando la lordosi lombare.

 

Anche Tarnanen et al (2012) osservarono che un controllo maggiore della stabilità del bacino aumentava l’attività EMG dei muscoli del tronco, permettendo un aumento della produzione di forza durante movimenti degli arti superiori e inferiori.

 

Nel caso di un’incapacità di stabilizzare il bacino e di una ridotta mobilità articolare generalizzata si potrebbe minare l’integrità fisica dell’atleta che potrebbe manifestare traumi da carico iterativo alle strutture muscolo-tendinee e articolari.

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